La parola Kimono significa “abito” (ki – da kiru, vestire e mono – cosa) e noi lo utilizziamo per indicare il vestito tradizionale giapponese, di cui esistono numerose varietà e utilizzato ancora oggi anche se in rare occasioni. La parola kimono significa letteralmente “vestito” e cominciò ad essere utilizzata nel 19° secolo per distinguere gli abiti giapponesi da quelli degli occidentali detti yōfuku. Ottenuto dall’unione di pezzi di tessuto rettangolari, non esalta le curve del corpo come tendono a fare gli abiti occidentali: al contrario le nasconde completamente e chi lo indossa deve muoversi con grazia e ponderatezza, dimostrando le sue doti profonde.
BREVE STORIA DEL KIMONO
Periodi Jomon e Yayoi: Nel primo e più antico, l’unica forma di abito era costituita da pelli di animali. Nel periodo successivo le donne iniziarono a indossare un tipo di abito detto kantoi costituito da una specie di gonna e un vestito legato alla vita da una cintura di cotone. Gli uomini invece indossavano lo yokohaba no nuno, costituito da due ampi pezzi di tessuto annodati uno sul petto a coprire le spalle e uno sulla pancia a coprire il corpo fino alle ginocchia.
Periodo Yamato: Gli esponenti dei clan più potenti iniziarono a distinguersi dalla massa anche nell’abbigliamento. Gli uomini indossavano un abito detto kinubakama costituito da una giacca (kinu) e da pantaloni (hakama); le donne indossavano il kinu e una gonna detta mo.
Periodi Asuka e Nara: L’influenza della Cina fu molto forte anche per quanto riguarda le tecniche per tingere i tessuti che iniziarono ad avere colori sgargianti. A corte, gli uomini indossavano hakama verdi, una gonna plissettata e giacca arancione o verde, portata sopra la gonna e fermata da una cintura. Portavano inoltre un copricapo, sempre arancione. Le donne (myōbu) indossavano al posto degli hakama, un mo anch’esso arancione e i capelli lunghi erano raccolti dietro la schiena.
Periodo Heian: La cultura giapponese conosce una fioritura straordinaria in tutte le arti e gli abiti a corte raggiungono un’elevata varietà. Tra questi ricordiamo il più rappresentativo: il nyōbō shōzoku, l’abito della dama di corte. Questo tipo di abito è stato definito recentemente jūnihito-e che letteralmente significa “12 abiti diversi”. Infatti le donne indossavano più abiti uno sopra l’altro, fino ad arrivare anche a venti. Maggiore era il numero degli strati, maggiore era il prestigio e il rango della donna che li indossava. Il colore specifico degli strati era più importante delle decorazioni. Esistevano circa 200 regole che stabilivano la combinazione dei colori del kimono. I colori erano stabiliti per rispecchiare le stagioni e le loro caratteristiche, rivelando il profondo legame dei giapponesi con la natura circostante. Da novembre a febbraio si indossavano kimono bianchi fuori e rossi all’interno, in marzo e aprile kimono color lavanda fuori e blu all’interno. Inverno e primavera prevedevano anche un soprabito giallo e arancione. Lo strato più interno era il kosode, nome che si riferiva non alla lunghezza della manica ma alla sua apertura, lo strato più esterno karaginu, poi uchikake. Era somigliantea quest’ultimo, ma dai colori più sobri, l’abito indossato quotidianamente dall’uomo di corte detto kariginu..
Periodo Kamakura e Muromachi: I nuovi governanti del bakufu indossavano abitualmente lo hitatare e le loro mogli il kosode che inizialmente era portato sotto altri abiti; solo in occasioni importanti portavano l’uchikake.
Periodo Azuchi-Momoyama e Edo: Nascono i quartieri del piacere popolati di geisha e attori del kabuki che lanciano nuove mode. Malgrado la varietà degli abiti sia molto vasta, l’abito femminile resta fondamentalmente il kosode e quello maschile il kamishimo, composto da kataginu, una giacca con le maniche corte e dai nagabakama. I guerrieri di alto rango continuano ad indossare il kariginu. I cittadini comuni indossavano il kosode e lo haori.
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